Fino al IV secolo d.C., i romani si fornivano di acqua direttamente dal Tevere, pozzi e sorgenti. Ma è rapidamente diventato insufficiente per coprire la domanda a causa della crescita della popolazione, che doveva essere garantita con altri mezzi.
Gli undici acquedotti costruiti nel tempo hanno fornito alla città acqua con una capacità pro capite di quasi il doppio di quella attuale, fornendo tra l’altro le quasi 1300 fontane pubbliche, le 15 fontane monumentali, le 900 piscine e gli 11 terme.
Compresi i condotti secondari, il quantità di acquedotti salì a 19 nel IV secolo d.C.
Dionigi di Alicarnasso scrisse che gli sembrava che “la grandezza dell’Impero romano sia mirabilmente dimostrata da tre cose : acquedotti, strade e fogne”.
La manutenzione e la sorveglianza della distribuzione dell’acqua furono concessi per più di due secoli agli “imprenditori privati”, che erano responsabili delle loro azioni dinanzi ai magistrati. Intorno al 30 a.C., Agrippa istituì un servizio pubblico dedicato.
Furono gli Ostrogoti, durante l’assedio del 537, a porre fine alla storia degli antichi acquedotti, rompendoli per impedire l’approvvigionamento della città. Inoltre, furono bloccati dagli stessi romani per impedire agli Ostrogoti di usarli come mezzo di accesso.
Successivamente, alcuni furono rimessi in funzione, ma dal IX secolo, con il crollo demografico e la carenza di risorse tecniche ed economiche, la manutenzione non fu più garantita. I romani di nuovo attingevano acqua dal fiume, da pozzi e sorgenti, come all’inizio, più di 1200 anni fa.
Vedute antiche nel arte
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